Sono stato molte volte al Cimitero delle Fontanelle grazie a Pasqualina Mirabella, una signora di oltre 85 anni, originaria del quartiere Stella che include il famoso rione Sanità. La conobbi alcuni anni fa mentre spiegava a dei ragazzi del Niger la storia di quel luogo, con una dovizia di particolari davvero incredibile. Pasqualina Mirabella, nota come Lina, pur non avendo mai superato le elementari, si considerava ironicamente una guida quasi ufficiale. Conosceva alla perfezione quel cimitero, tanto che un giorno decisi di ascoltare la sua storia. Lina, in perfetto dialetto partenopeo, sapeva raccontare l’origine di quell’ex-ossario di oltre 3000 mq contenente un numero imprecisato di teschi; qualcuno stima che siano circa 40.000, ma la verità è che nessuno li ha mai contati.
Il racconto di Lina finiva sempre mostrando il teschio di suo padre, seguendo l’antica usanza delle “anime pezzentelle”. Lina portava avanti questa pratica fin dall’età di 5 anni, quando sua madre le raccontò della morte del padre tra i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Essendo piccola e non avendo un corpo su cui piangere, decise di sceglierla tra quelle anime pezzentelle. Individuò il teschio di suo padre in uno un po’ ai margini, verso la seconda navata, ultima fila, rivolto verso l’alto, e così per oltre 80 anni si recava ogni domenica lì, parlando con suo padre.
Sebbene quei teschi siano in gran parte vittime della grande peste del 1656 e del colera del 1836, Lina non badava a questi dettagli, pur conoscendo bene la data di marzo 1872 quando quell’ossario fu aperto al pubblico come cimitero cittadino e affidato al Comune, per lei ogni teschio aveva una storia recente, come appunto quella di suo padre, morto nel 1940.
Tra le tante storie, Lina mi raccontò di quando alcuni anni prima portò lì un gruppo di ragazzi del Niger. Nonostante lei stessa parlasse a stento qualche parola in italiano, trasferì a quei ragazzi le usanze di quel luogo, loro che erano appena giunti a Napoli dopo un lungo viaggio su uno di quei barconi, avendo perso chi la sorella, chi il fratello, chi un genitore, senza avere più un corpo su cui pregare. Lina vide in quei ragazzi la sua stessa storia, ed è così che decise di portarli lì affinché anche loro potessero parlare con uno dei loro cari.
Per anni il cimitero è stato chiuso, ma Lina, come altri, riusciva sempre a trovare il modo di entrare. Così, per oltre 80 anni, ogni domenica mattina, non poteva fare a meno di raccontare a suo padre dei suoi figli, di suo marito, perfino dei tre scudetti del Napoli. Oggi finalmente il cimitero è stato riaperto al pubblico, qualche giorno fa ho notato uno di quei ragazzi nigeriani di Lina. Era con i suoi figli nati qui a Napoli, fermo in quel luogo, spiegando ai loro piccoli ciò che Lina aveva tramandato e indicando i teschi dei suoi genitori.
Napoli ha ancora una volta dimostrato di essere immortale; le nostre usanze si diffondono, si tramandano, raccontano e si fanno proprie, tra generazioni ed etnie diverse, perché Napoli è una città che, anche nella morte, sa unire tutti.
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Storie verosimili della città di Napoli n. 81: Pasqualina Mirabella la quasi guida del Cimitero delle Fontanelle
Foto di Leandro Felicioni
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