Va percorsa almeno una volta Calata San Francesco, una delle 199 scale di Napoli. E’ una delle scale meno conosciute, ma più caratteristiche della nostra città.
Mi ci sono recato per molti anni, proprio lì, lungo quelle scale, abitava la famiglia Scotto, con il sig. Arturo Scotto e sua moglie Assunta De Vita, una coppia di anziani che, fino a qualche anno fa, era possibile ancora incontrare affacciati al loro balcone percorrendo quelle scale.
Don Arturo, così era chiamato dai vicini, per anni ha avuto una piccola salumeria alla Riviera di Chiaia, una di quelle antiche, fatte in legno e marmo.
Quell’abitazione, posizionata proprio nella parte pedonale più alta di Calata San Francesco, era di Assunta sua moglie, come regalo di matrimonio di suo padre, che lì, poco più sopra, a Via Belvedere, aveva alcune terre.
Assunta, seppur molto anziana, era perfettamente lucida. Perdeva ogni tanto qualche colpo, e io ne approfittavo per farmi raccontare nuovamente come i due si erano conosciuti, già perché Assunta la raccontava ogni volta come se fosse la prima, aggiungendo sempre un piccolo nuovo dettaglio, e ogni volta, ad ogni passaggio, guardava il suo Arturo, che di risposta le stringeva più forte la mano.
La storia iniziava sempre così, più o meno: “Don Felì, ero piccola, avevo 16 anni, avevo capelli biondissimi, avevo preso gli occhi azzurri da mia mamma e la portanza nobile di mio padre.
Abitavamo qui sopra al Vomero, in campagna su Via Belvedere. Mio padre aveva ereditato alcune terre che gestiva.
Ogni tanto saliva fin qui un giovane di bottega per portarci la spesa quotidiana che mio padre ordinava ogni mattina. Ragazzino scontroso, capelli arruffati, sempre vestito con abiti di lavoro. Non era mai andato a scuola, perché fin da piccolo ha lavorato in quella salumeria.
Un pomeriggio capita che mio padre non c’è, apro e mi trovo quel giovanotto timido, affannato. Mi consegna la spesa e va via.
Poco dopo nuovamente suonano alla porta, apro, non vedo nessuno, abbasso lo sguardo e trovo un bellissimo mazzo di fiori e una lettera scritta con il cuore, più che con le parole giuste.
Don Felì, e che ci volete fare, da quel giorno quel giovane, ogni mattina, partiva dalla Riviera di Chiaia, percorreva tutta Via Arco Mirelli, poi Salita Tasso, poi ancora Salita San Francesco, per arrivare qui stremato con la spesa, ma anche ogni giorno con una lettera diversa, ogni volta con una lettera migliore, ogni volta con un pensiero diverso.
Don Felì, quel ragazzo la notte studiava di nascosto per me, per scrivermi lettere senza errori.
A questo punto interveniva don Arturo: “Don Felì, da quel giorno, per oltre 75 anni, ho percorso su e giù questo percorso, ogni mattina a scendere e ogni sera a salirle.
E quando gli ripetevo se quella salita nel tempo non fosse divenuta troppo faticosa da fare, don Arturo mi rispondeva sempre in quel modo unico, con un sorriso sulle labbra e quegli occhi lucidi, come quando vide la sua Assunta per la prima volta.
Don Felì, ho fatto e rifatto per 75 anni quelle scale, le ho rifatte con Assunta in braccio, quando doveva partorire il nostro primo figlio. Le ho rifatte quando un pomeriggio è svenuta in casa. Le ho rifatte mille volte, salendo a due a due quei gradini ogni sera, perché cenare con tutti loro era l’energia più forte che potessi avere.
Oggi di forza non ne ho quasi più, ma ogni tanto, quando posso, mi prendo la mia Assuntina, andiamo giù fino alla Riviera di Chiaia per prendere il nostro caffè e per consegnarle l’ennesima poesia, perché Don Felì, non ho mai smesso di scrivere per la mia Assuntina.
Ed è così che ancora oggi, quando posso, percorro quel tratto unico che inizia da Via Belvedere, e arrivando fin giù alla Riviera di Chiaia, penso a quanto amore e quanta fatica abbia fatto Arturo per la sua Assunta. Chissà, forse un giorno ritroverò quelle lettere, testimoni di un amore che il tempo non ha mai consumato.
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