Fronteggia il palazzo reale di Napoli nell’emiciclo della piazza più famosa della città, piazza del Plebiscito. Si tratta dell’ex voto di un re, Ferdinando IV di Borbone: se fosse riuscito a riappropriarsi del trono usurpatogli dai francesi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, avrebbe fatto innalzare una chiesa monumentale dedicata a San Francesco di Paola. E sarebbe stata costruita proprio nel luogo destinato da Murat, cognato di Napoleone, alla realizzazione di un Foro civile.
Caduto Napoleone, dal trono partenopeo sparì pure il suo congiunto e, nel 1817, su progetto di Pietro Bianchi, si diede inizio alla costruzione dell’edificio religioso ispirato all’antico Pantheon romano. Re Ferdinando scioglieva così la sua promessa solenne e intitolava la chiesa a San Francesco di Paola, santo caro ai napoletani ricordato anche per i miracoli compiuti durante il suo soggiorno in città nel 1482.
Il sovrano non riuscì a vedere conclusa l’opera che, inaugurata dal nipote Ferdinando II nel 1836, solo nel 1846 poté dirsi terminata. Ebbe il titolo di basilica reale pontificia e la concessione di un privilegio che, fino a dopo il Concilio Vaticano II, fu appannaggio di poche chiese nel mondo. Si trattava del posizionamento dell’altare maggiore girato in modo che durante la funzione liturgica il celebrante fosse rivolto verso i fedeli. Nella città di Roma una simile caratteristica era esclusiva degli altari papali come quello di San Pietro in Vaticano.
Nel 1969 una direttiva ecclesiastica dispose:
«l’altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo»
Svaniva di fatto la prerogativa concessa alla basilica reale pontificia di San Francesco di Paola al cui nobilissimo altare maggiore rimaneva, però, la indulgenza plenaria.